Le scelte tipografiche di Wes Anderson

Le scelte tipografiche di Wes Anderson

Giovanni Blandino Pubblicato il 6/10/2024

Sono rari i registi che si distinguono per uno stile così prontamente identificabile come quello di Wes Anderson. È sufficiente osservare una composizione perfettamente simmetrica, un movimento di camera caratteristico o una palette di colori specifica per immediatamente dichiarare: questo è un’opera di Wes Anderson!

Il cineasta statunitense, con una carriera che ormai si estende per oltre due decenni, ha guadagnato il suo posto nell’olimpo dei registi non solo per il suo stile unico, ma anche per la sua abilità di trasportarci in universi fantastici, talmente ben costruiti da sembrarci veri. Sia che si tratti di paesi inventati, imbarcazioni eccentriche o metropoli con un sapore retro-futuristico, ogni elemento è curato nei minimi dettagli, dagli abiti agli oggetti di uso quotidiano, fino ai tipi di carattere usati.

Ecco perché il focus di oggi su font e cinema è dedicato a Wes Anderson e alle interessanti curiosità tipografiche presenti nei suoi film più rappresentativi!

I Tenenbaum

“I Tenenbaum”, uscito nel 2001, ha introdotto Wes Anderson al grande pubblico. La storia di questa famiglia disfunzionale rappresenta un’aggregazione di tutti quegli elementi che costituiscono lo stile inconfondibile del regista originario del Texas: ambientazioni ricche di fantasia, una cura ossessiva della composizione delle inquadrature, simmetrie e zoom invasivi. E naturalmente, anche l’uso di un font specifico. Wes Anderson ha una notevole predilezione per il Futura, utilizzato in quasi tutte le sue opere cinematografiche. In “I Tennenbaum”, tuttavia, questa predilezione per il Futura si trasforma in vera e propria fissazione. Il font è presente nel titolo, usando il Futura Bold, nelle didascalie che introducono i vari capitoli e nei titoli di coda, ma anche in praticamente ogni elemento scritto inquadrato: dalle insegne dei bus, ai cartelli dei musei, ai poster e alle copertine dei libri.

Il Futura, del resto, è uno dei font più celebrati a livello globale. Si tratta di un carattere tipografico moderno, funzionale e marcatamente geometrico, ispirato all’estetica del Bauhaus pur non essendo direttamente collegato a quel movimento. Creato dal tedesco Paul Renner nel 1927, inizialmente per il progetto architettonico modernista Neues Frankfurt, rapidamente ha conquistato fama mondiale, fino ad arrivare sulla Luna, essendo presente sulla targa commemorativa dell’allunaggio del 1969.

In Italia, il Futura è riconoscibile nel logo della RAI e nella segnaletica delle Ferrovie dello Stato.

Moonrise Kingdom

Un vero maestro sa quando è il momento di lasciar andare i suoi oggetti del desiderio e come farlo con eleganza. Così, per il suo settimo film, “Moonrise Kingdom” del 2012, Wes Anderson si distacca dal Futura. Per i titoli di questo racconto fiabesco di amore adolescenziale – una storia che lo stesso Anderson avrebbe desiderato vivere a quell’età – si affida alla talentuosa artista Jessica Hische.

Hische si è lasciata ispirare dal lettering di un classico della Nouvelle Vague, “La Femme Infidèle” del 1969 diretto da Claude Chabrol, uno dei riferimenti suggeriti da Anderson stesso. Tuttavia, era essenziale conferire al titolo un carattere tipico dell’America degli anni Sessanta, più in linea con l’atmosfera di tranquilla provincia americana del film. Dopo diverse proposte al regista meticoloso, il risultato è un lettering elegante, dolce e ingenuo che si distingue come tratto distintivo del film, utilizzato in vari colori vivaci nei titoli di apertura e di chiusura.

Gran Budapest Hotel

Wes Anderson possiede la straordinaria capacità di creare mondi minuziosamente dettagliati che oscillano tra il fiabesco e un personale immaginario vintage. In “The Grand Budapest Hotel”, presentato alla Berlinale del 2014, ci offre la visione di un’intera nazione inventata.

Come ogni nazione che si rispetti, la Repubblica immaginaria di Zubrowka possiede una propria storia, uniformi, una bandiera, ma anche banconote, francobolli, portachiavi, giornali, libri, confezioni di dolci, passaporti e menu – ognuno con i propri caratteri tipografici distintivi. La graphic designer Annie Atkins ha il compito di materializzare questo universo fantastico, attingendo ai font tipici dell’Europa orientale degli anni Trenta. L’insegna del Grand Budapest Hotel, ad esempio, deriva da un cartello in metallo originale degli anni Trenta del Cairo, mentre la realizzazione dei giornali immaginari della Repubblica ha richiesto la stesura di articoli uno ad uno da parte di Wes Anderson stesso.

Per i titoli di coda, Anderson opta per il carattere Archer, lasciando ancora una volta da parte il Futura. Archer è un font creato nel 2001 per la rivista americana Martha Stewart Living e poi reso disponibile al pubblico nel 2008.

L’isola dei cani

“L’Isola dei Cani” (Isle of Dogs), uscito nel 2018, è il secondo film d’animazione di Wes Anderson realizzato in stop-motion. Ambientato in un Giappone distopico, narra la storia di tutti i cani di Megasaki City esiliati su un’isola a causa di una nuova influenza canina.

Erica Dorn, designer e illustratrice con radici in Giappone, cura il lettering e la tipografia del film. Per realizzare oltre mille nuovi oggetti, tra cui poster, insegne, lattine di birra e medagliette personalizzate per i cani, Dorn crea un lettering dei titoli che miscela armoniosamente caratteri occidentali e giapponesi, disegnando a mano il lettering giapponese per la sua varietà e la difficoltà di trovare un font adatto che includa tutti i circa 2000 caratteri della scrittura giapponese. Il carattere occidentale nei titoli, invece, rimane costante, quasi a bilanciare l’impatto visivo giapponese. Alla fine, anche questo viene disegnato a mano.

L’attenzione di Wes Anderson per i caratteri tipografici e il lettering nei suoi film è evidente. Con una cultura visuale profonda e un’attenzione ai dettagli senza pari, Anderson sa che la verosimiglianza dei suoi mondi dipende anche dalla scelta accurata del font, risultato di ricerche approfondite e numerose proposte scartate. E quanto adora il Futura? La risposta è ovvia: profondamente!