Nel 2015 l’Oxford Dictionary dichiarò parola dell’anno l’emoji della faccia che piange dal ridere.
Una boutade? Uno sberleffo al mondo accademico? Forse no. E se le emoji rappresentassero qualcosa di più serio di quanto il senso comune sembra suggerire? In questo articolo cercheremo di scoprire le potenzialità delle emoji e di verificare se e come utilizzarle in modo efficace, per la vostra comunicazione professionale.
Dal punto allo smile. Breve storia delle emoji
La storia delle emoji è strettamente connessa all’evoluzione della punteggiatura in chiave sempre più emozionale. Nei forum, nei blog, nelle chat di messaggistica istantanea, dagli anni Novanta in poi la punteggiatura iniziò gradatamente a mutare. Sempre meno impiegata in modo neutro, per segnalare la struttura di una frase, acquisisce via via una funzione più emozionale. Sopperisce alla comunicazione non verbale tipica del linguaggio parlato (i gesti, le espressioni del viso, il tono di voce) e segnala al lettore con quale intenzione deve leggere certe parole. Il punto, per esempio, in una conversazione via chat non significa più: è finita la frase. Indica aspetti emozionali: sarcasmo, indignazione, risentimento, distacco.
Le emoticon di fine anni Novanta si possono leggere proprio come un’evoluzione ulteriore della punteggiatura emozionale. Le emoticon, potremmo dire, sono una punteggiatura emozionale aumentata e non a caso, forse, si scrivono utilizzando segni di interpunzione per creare pittogrammi. Un occhiolino ammiccante si otteneva per esempio digitando un punto e virgola, un trattino per il naso e una parentesi per il sorriso. L’approdo ulteriore sono per l’appunto le emoji: un vastissimo campionario di pittogrammi a cui attingere per rendere i messaggi più immediati, veloci, informali. E per aumentare la complicità con il lettore.
Usare le emoji per ritrovare una complicità tra brand e pubblico
Anno dopo anno, grandi e piccoli brand hanno adottato le emoji, eleggendole a strumenti ideali per migliorare l’empatia con i propri pubblici e aumentare l’engagement. Tra i primi possiamo annoverare Durex: dal momento che il 92% di tutti gli utenti di internet utilizzano questi simboli per comunicare, ha scelto di dare vita a una vera e propria emoji dedicata al sesso sicuro. Ma oltre ai casi eclatanti (Ikea, Domino’s Pizza, Pepsi, Starbucks e molti altri) anche piccole e medie aziende trovano benefici nell’utilizzare le emoji ogni giorno, per esempio nelle comunicazioni dedicate al customer care: rendono il dialogo con gli utenti più amichevole, informale, caldo, e abbassano i livelli di stress. Ma esistono indicazioni su come usarle? Quali sono i rischi e quali i vantaggi? Scopriamolo subito.
Le emoji, istruzioni per l’uso
Non esistono regole codificate sull’impiego delle emoji. Ma, negli anni, sono emerse due indicazioni chiave:
- Competenza: Comprendere a fondo il sentimento da comunicare e scegliere correttamente l’emoji corrispondente.
- Misura: Non eccedere nell’utilizzo, con il rischio di apparire poco professionale e suscitare percezioni contrastanti.
Emoji e newsletter. Rischi e opportunità
Se per esempio stai pensando di utilizzare le emoji nelle tue newsletter, è bene sapere che, secondo uno studio, le email che presentano emoji nell’oggetto hanno un tasso di apertura leggermente inferiore, perché possono suscitare sentimenti come diffidenza e una percezione di bassa professionalità. Sembra invece che, impiegate con precisione nel corpo del testo, possano contribuire ad aumentare le azioni e i click da parte dei lettori. La posizione che offre i migliori risultati, in questo senso è la fine di una frase. Per esempio, in questo momento potrei invitarti a continuare a leggere, posizionando qui questa emoji 👇
Emoji e social network. Un linguaggio che avvicina il lettore
Oltre che nelle newsletter, le emoji trovano impiego nei contenuti digitali distribuiti su piattaforme come Facebook, Instagram e Twitter. I social network sono l’ambiente ideale e, potremmo dire, naturale, dove usarle. Qui possono risultare molto utili per contribuire a rendere i messaggi più informali e vicini alle comunicazioni tra utenti. In questo modo diventa più facile far percepire un marchio umano, trasparente, vicino alle persone.
Una nota: anni fa Facebook aumentò le reaction possibili a commento di un post, che fino a quel momento erano limitate al solo like, il ben noto pollice in su. Le nuove reaction inserite usano un linguaggio a base emoji per comunicare compartecipazione, stupore, tristezza, irritazione, eccetera. Ma se stai pensando di chiedere esplicitamente al tuo pubblico di reagire a un tuo contenuto digitale scegliendo tra questa o quella reaction, pensaci due volte: la policy di Facebook scoraggia questo tipo di atteggiamento, chiamato in gergo vote baiting, perché preferisce che gli utenti si sentano più liberi di rispondere a un post usando la reaction preferita e meno assediati dalle richieste di aziende e brand che sperando di aumentare il tasso di engagement della propria pagina.
Emoji e chat aziendali. Un’emoji può valere più di mille parole
Le emoji possono essere impiegate da un’impresa per comunicare con il proprio pubblico anche (e soprattutto) all’interno delle chat. Utilizzate in modo consapevole e misurato, rendono le comunicazioni più umane, semplici, amichevoli e abbassano il livello di stress degli utenti. Una buona idea per evitare figuracce e apparire non professionali? Comprendere a fondo il significato emozionale delle emoji e selezionarne solamente un ristretto set, in linea con le emozioni che il vostro marchio dovrebbe trasmettere. Limitarsi all’uso del campionario prescelto, rispettando il proprio tono di voce, può evitare cadute di stile, fraintendimenti e incomprensioni.
Presente e futuro delle emoji: nuovi impieghi possibili
Le emoji sembrano possedere una grande densità di significati, e una versatilità ancora non del tutto esplorata. Oltre a trasmettere sentimenti ed emozioni e a rendere la comunicazione tra aziende e persone più diretta e informale, possono diventare protagoniste di complesse campagne di advertising o venire impiegate in modo inaspettato, creativo, sorprendente per veicolare nuovi servizi.
Una delle case history più citate, in questo senso, è quella di Domino’s Pizza: per rendere l’ordinazione delle pizze più veloce e meno noiosa, la nota catena ha creato un servizio che semplifica il processo al massimo. Basta scrivere il gusto desiderato, accompagnato dall’emoji Pizza e dall’hashtag #EasyOrder sull’account twitter del brand, per ricevere la propria pizza.
Anche l’attivismo e la sensibilità sociale di un marchio possono passare attraverso le emoji: è il caso del WWF, che diede vita a una campagna per la salvaguardia di alcune specie in via di estinzione, attraverso l’utilizzo delle emoji corrispondenti su twitter.
In Italia, la docente di linguistica generale Francesca Chiusaroli ha usato le emoji per tradurre il celeberrimo Pinocchio di Collodi: “Pinocchio in emojitaliano” è un esempio tangibile di come le emoji possano dar vita a un vero e proprio linguaggio, che supera certamente il compito originario di trasmettere sentimenti. Le emoji, ci dice questo interessante esperimento letterario, possono essere impiegate per esprimere interi concetti, e persino per narrare storie molto complesse, limitando al minimo i fraintendimenti grazie a un glossario e a una vera e propria grammatica.
Sempre per rimanere in Italia, la storica rivista “La settimana enigmistica” ha da tempo impiegato le emoji per proporre rebus e indovinelli al proprio pubblico: in questo caso le emoji tendono a sostituirsi alle illustrazioni tipiche dei rebus cartacei, piuttosto che alle parole, e rendono possibile costruire con semplicità contenuti interattivi, che invitano il pubblico a partecipare per proporre soluzioni.
Il futuro delle emoji
E nel futuro? Se da un lato il linguaggio espresso attraverso le emoji è codificato in modo molto preciso (una faccina significa quella espressione specifica e nessun’altra), dall’altro sembra subire un fertile e ricco processo di risignificazione continuo, grazie al laboratorio quotidiano che si esprime nelle conversazioni tra utenti e brand. Un esempio? La faccina che ride è oggi indice di un atteggiamento passivo aggressivo nelle nuove generazioni, che preferiscono altri simboli per comunicare divertimento. Per esempio il teschio (muoio dal ridere).
Come si vede, le possibilità di espressione sono molteplici e sembrano andare ben oltre alla semplice trasmissione di un sentimento. Va inoltre notato che, di anno in anno, le emoji continuano ad aumentare e si modellano sulle evoluzioni sociali: non è un caso che gli ultimi anni abbiano visto l’introduzione della faccia che indossa la mascherina, per aiutare le persone a rispecchiarsi nella propria condizione, durante le fasi della pandemia.
Arrivati a questo punto non resta che mettersi alla prova, per esplorare sul campo le potenzialità delle emoji. Ma prima, perché non ci salutiamo come si conviene? 👋